giovedì 16 febbraio 2012

RACCONTANDO I MESTIERI DI UN TEMPO....


La cardatrice.

Agosto era già finito,con i suoi lavori di raccolto e settembre arrivava carico di i colori profumi e promesse,profumo di uva di mosto di fichi secchi ,di altre conserve già riposte per il freddo inverno.Le promesse e le speranze erano botti di buon vino,olive buone per l'olio,e per la tavola,declinate in mille modi,ma sempre appetitose e degno accompagnamento dei frugali pasti quotidiani.

Lei arrivava,senza preavviso e senza essere chiamata,proprio in questo periodo..
Era alta,magra,gonne ampie alle caviglie,ed ai piedi improbabili scarpe su calze pesanti,con ancora addosso la polvere di lunghe strade e viottoli percorsi a piedi.
Era la cardatrice,per noi bambini “a zza surda”,la zia sorda,o “a cardatura”.
In effetti si chiamava Anna e non era sorda,e ce ne siamo dovuti rendere conto,nostro malgrado,noi bambini che approfittavamo di questo presunto difetto,per i nostri scherzi infantili.
Non era neanche nostra zia.
Arrivava direttamente a casa nostra,si portava dietro una sacca di tela e sottobraccio i suoi attrezzi da lavoro,avvolti in un pesante telo e ben legati.
Lasciava in un angolo il suo minuto bagaglio, mangiava qualcosa,per chiunque arrivasse ed a qualsiasi ora,mamma apparecchiava la tavola con il poco che si trovava in dispenza, era una forma di saluto e di rispetto per l'ospite.

Subito dopo andava a salutare la nonna che abitava vicino a noi,ed anche altri vicini di casa.Era una forma di cortesia ma anche un farsi vedere,dare la proprioa disponibilità a fare il lavoro .
L'inverno si avvicinava ed era saggio avere tutto pronto per filare tessere lavorare a maglia,nelle lunghe e fredde giornate.

foto dal web

Cardava lana,lino,canapa ed anche ginestra. Era abilissima nel suo lavoro,che preparava meticolosamente,quasi un rito.


foto dal web-lana pronta da cardare

foto dal web-il cotone,coltivato da nonna Cristina

dal web-fibre di ginestra

Apriva il telo e noi aspettavamo di vedere cosa contenesse:
Erano le carde.Tanti piccoli denti di acciaio ricurvo,mobili e fissati con precisione su un pannello di cuoio grezzo,a sua volta fermato su un'asse di legno.Due assi uguali che durante la cardatura lavoravano in modo che i dentini si incrociassero nei due versi opposti.
Sistemati gli arnesi su una panchetta bassa,si sedeva su uno sgabello ed iniziava a lavorare.

La lana ,depositata a mucchietti sulle carde,veniva tirata più volte,finchè i nodi si dipanavano pian piano come per incanto e la morbida fibra era una piccola striscia soffice,omogenea.







foto dal web.Le carde usate allora erano molto più rudimentali,e da tavolo.


A questo punto,con un gesto rapido ed abilissimo,la maestra sollevava questa nuvola bianca,la avvolgeva su se stessa e la depositava su una cesta,accanto.La lana ora era pronta per essere avvolta nella rocca-la conocchia-e filata.
Contunuava fino a sera,con brevissimi intervalli.

La cena servita per tutti e poi non bambini la circondavamo chiedendole di raccontarci qualcosa

Lei accusava la stanchezza ma poi cedeva,ci raccontava storie di paesi che non potevamo conoscere,di case di ricchi signori dove pure andava a lavorare,di fantasmi che incontrava quando,approfittando della luna piena,continuava a spostarsi da un paese all'altro anche di notte.

Andava avanti per qualche giorno,continuando a lavorare anche il lino,la canapa,la ginestra,quando c'erano.
Il rumore ritmato delle carde,accompagnato da gesti sempre uguali,ci incantava,forse ancor più delle storie che ci raccontava.

Quando finiva da noi,si spostava con gli attrezzi, dalla nonna,e via via dagli altri vicini.
Poi il lavoro finiva,l'inverno si avvicinava e lei,così come era arrivata,ripartiva.Nella sua sacca c'erano legumi,olio,sapone fatto in casa,zucchero,pane e quanto era possibile portarsi dietro:c'erano pochi soldi e parte del lavoro era pagato in natura.